SEO oltre i motori di ricerca

Una recente conversazione con un collega mi ha fatto riflettere su una trasformazione ancora poco visibile, ma destinata a cambiare le regole del gioco. La SEO non riguarda più solo Google. Oggi i contenuti vengono letti, selezionati e sintetizzati non solo da persone, ma anche da modelli generativi come ChatGPT, Gemini, Claude o Grok, e sempre più spesso da agenti AI che leggono per compiere azioni. Non mostrano link ma producono risposte e alla fine la visibilità si gioca all’interno di quelle risposte.

Non basta più essere trovati, bisogna essere citati

L’ottimizzazione classica si è sempre concentrata sul “posizionamento”. Ma oggi il vero tema non è tanto dove appari, quanto se e come vieni incluso nella risposta generata da un modello AI. L’utente non cerca tra dieci link ma riceve una sintesi e spesso si ferma lì. In questo scenario, ciò che non viene letto e compreso dal modello semplicemente non esiste. Se il tuo contenuto non è interpretabile, non può essere incluso. E quindi non può influenzare la risposta. Questo cambia il modo in cui misuriamo la visibilità e costruiamo contenuti, reputazione, struttura semantica e affidabilità. Per orientarsi in questo nuovo contesto, stanno nascendo strumenti specifici che aiutano a capire quanto un brand o un dominio siano realmente presenti nelle risposte AI. Ziptie.dev mappa la visibilità su ChatGPT, Perplexity, AI Overviews e Anthropic. Hall offre un tracking continuo delle citazioni da parte dei principali LLM. Lorelight e Otterly.ai permettono di tracciare menzioni, estratti, tono e persino intenti legati alle risposte AI. Sono strumenti nati da poco ma già utilizzabili, capaci di offrire metriche diverse e significative. Non misurano quanto vieni cercato, misurano quanto i tuoi contenuti vengono effettivamente utilizzati nei contesti generativi.

Quattro contesti in cui l’indicizzazione cambia forma

Oggi esistono almeno quattro scenari in cui i contenuti vengono letti e valutati secondo logiche molto diverse:

  • Nei motori classici (Google, Bing), l’indicizzazione avviene tramite crawler e il posizionamento è influenzato da SEO tradizionale;

  • Nei modelli di deepsearch (ChatGPT, Gemini), ciò che conta è la chiarezza semantica e l’autorevolezza della fonte;

  • Negli agenti AI, il contenuto viene letto per svolgere task. Se non è interpretabile, viene ignorato;

  • Nelle journey AI-integrated, la risposta è il primo touchpoint. Il contenuto deve guidare il percorso già dalla sintesi iniziale.

Un esempio di quando l’AI decide al posto tuo

Qualche giorno fa ho chiesto a ChatGPT, tramite Deep Research: “Qual è il modo migliore per raggiungere Lodi da Roma?”. Niente lista, niente link, niente opzioni. Il modello ha scelto per me: “La soluzione più comoda è prendere l’alta velocità fino a Milano e poi un treno regionale per Lodi”. Una risposta unica, pulita, senza confronto. Ma chi ha deciso che fosse la più comoda? Su quali fonti si è basato? È davvero la più rapida, o solo quella più frequentemente citata nei dati letti dal modello? Ora spostiamo questo schema su qualsiasi settore come ad esempio una linea dati, un piano telefonico, assicurazioni, servizi professionali, consulenza, retail. Se il tuo brand o la tua offerta non è presente nei contenuti usati per costruire la risposta, non sarai mai selezionato, nemmeno se hai fatto tutto “bene” secondo la SEO tradizionale. In un mondo in cui la visibilità passa sempre più da sintesi generate da modelli, essere citabili è il nuovo essere trovabili.

Che cosa leggono davvero i modelli

Per capire come “esistere” nelle risposte generate dalle AI, non basta pensare come un utente umano. Serve ragionare come una macchina. I modelli non valutano grafiche o tone of voice, ma struttura, coerenza e leggibilità. È per questo che non basta scrivere bene. Bisogna progettare contenuti che siano comprensibili, selezionabili e riutilizzabili dai modelli. Gli elementi che aumentano la probabilità di essere letti, capiti e usati da un modello generativo includono:

  • struttura chiara e diretta

  • semantica coerente (heading, FAQ, markup)

  • dati strutturati (come schema.org o JSON-LD)

  • presenza in domini autorevoli e connessi

  • citazioni in fonti affidabili e consistenti

  • ricorrenza del contenuto in contesti diversi

  • relazioni forti con altre entità informative rilevanti

Conclusione

La visibilità non è più una questione di ranking, ma di riconoscibilità algoritmica. I modelli non mostrano risultati, danno risposte. E lo fanno sulla base di ciò che riescono a comprendere, integrare e sintetizzare. Non sei più scelto da un utente. Sei selezionato da un modello. Chi si occupa di contenuti, marketing o strategia dati deve cambiare prospettiva. Il lettore più influente del futuro non clicca ma sintetizza e decide al posto nostro cosa merita attenzione. Non elabora le informazioni come noi, ma usa un embedding per farlo. E se quel vettore non ti include, è come se non esistessi.