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Quando l’AI decide chi sei, come fai a saperlo?
Chiedere a un modello generativo sembra un gesto semplice. Formuli una domanda, ottieni una risposta. Ma quella risposta non è mai neutrale. È il risultato di scelte implicite, dalle fonti privilegiate agli esempi sintetizzati fino alle parole usate per raccontare un brand. E quando al posto di una lista di link c’è una sola voce, come accade con ChatGPT, Claude o Gemini, il modo in cui un marchio viene descritto diventa decisivo.
Per anni le aziende hanno monitorato le ricerche su Google e le conversazioni sui social. Oggi serve un passo ulteriore, capire come l’AI racconta un brand quando un utente la interpella. La differenza è sostanziale. Nei motori di ricerca l’utente confronta più fonti, nei modelli generativi riceve una sola narrazione. Questo può significare visibilità o invisibilità.
Un fenomeno che riguarda anche l’Italia
L’utilizzo quotidiano dei modelli linguistici è ormai entrato stabilmente nelle abitudini digitali degli italiani. Secondo Audiweb, solo nel mese di aprile 2025 oltre 9 milioni di persone hanno usato ChatGPT e 2,8 milioni hanno utilizzato Google Gemini.
Sempre più utenti non cercano più link ma domandano direttamente all’AI, chiedendo raccomandazioni, confronti e suggerimenti. E i brand vengono valutati all’interno di queste nuove conversazioni sintetiche.
Non basta esserci, conta come
Un brand può comparire, ma con quali parole? Con quale tono? Accanto a quali competitor? Qui diventa utile la misurazione strutturata. Non ci si limita a verificare la presenza, ma si analizzano tre dimensioni chiave legate alla brand relevance:
Relevance, quanto la citazione è pertinente rispetto al contesto
Frequency, quanto spesso il brand emerge in scenari diversi
Competitor, con chi viene messo a confronto e quanto pesano questi soggetti
La concretezza del possibile
Per ottenere un quadro realistico non basta una query singola. Serve simulare condizioni d’uso diverse, costruendo migliaia di variazioni e buyer personas rilevanti. Solo così si intercetta la varietà di scenari in cui un utente reale potrebbe interrogare un modello. Il valore non sta nell’accumulare risposte, ma nel trasformarle in dati leggibili, con score che rendono comprensibile la presenza del brand nel nuovo spazio generativo. È l’approccio che stiamo portando avanti in Cavallo Consulting con Kooary, il prodotto con cui stiamo iniziando ad analizzare brand presence e brand relevance nelle risposte AI.
Bias e distorsioni
C’è anche un lato critico. I modelli non sono neutrali né trasparenti, tendono a privilegiare fonti popolari e narrative consolidate. Così un brand emergente rischia di sparire, mentre un competitor più citato si rafforza. In alcuni casi riemergono contenuti vecchi o marginali che continuano a influenzare la risposta. Per un’azienda significa che l’AI può veicolare un’immagine distorta, difficile da controllare se non viene monitorata.
Un nuovo layer di data strategy
Misurare la brand presence nelle risposte AI non è un esercizio di marketing. È parte non solo della brand, ma anche della data strategy. Significa trattare le risposte dei modelli come dati da analizzare, con le stesse logiche di governance e lettura critica già applicate ad altre fonti. In un contesto in cui le persone smettono di scorrere pagine e si affidano a un’unica voce, farsi raccontare nel modo giusto diventa un fattore competitivo.
Conclusione
Se l’AI decide chi sei, non basta sperare di esserci. Bisogna sapere quando, come e accanto a chi un brand viene citato. La nuova visibilità non è più soltanto nei ranking di Google, ma nelle risposte generative. E imparare a leggerle è il primo passo per non lasciare che siano altri, algoritmi o competitor, a scrivere la tua storia.