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Perché l’AI inventa cose? La risposta alle allucinazioni è in una strategia dati chiara
Con l’avvento di GPT-4 e altri modelli generativi, è emerso un comportamento insolito. In alcuni casi l’AI “inventa” dati e riferimenti con sicurezza, pur non avendone alcuna evidenza reale. Quando si verifica questo fenomeno detto hallucination i modelli producono contenuti fittizi e plausibili, rischiando di ingannare chi li usa. Un esempio concreto è capitato persino nel mondo legale statunitense, con un avvocato che ha citato cause inesistenti suggerite dal chatbot. Nella mia esperienza accademica, ho visto studenti affidarsi all’AI per bibliografie, scoprendo poi che gli articoli citati… non esistevano affatto.
Dai banchi di scuola all’azienda: lo stesso problema, effetti ben diversi
Se in ambito universitario questo si traduce in figuracce o voti bassi, in un’azienda l’impatto può essere decisamente più critico.
Documenti legali alterati
È successo davvero a un avvocato statunitense che ha citato in tribunale cause inesistenti, prodotte dal chatbot. Immaginiamo un manager che, fidandosi dell’AI, inserisce riferimenti normativi fasulli in un report di compliance destinato ai vertici: il risultato non è solo una figuraccia, ma potenziali rischi legali e reputazionali.Comunicati stampa gonfiati
Alcune aziende hanno sperimentato l’uso dell’AI per redigere comunicati finanziari o note stampa. Quando i dati “ufficiali” non sono reperibili in modo strutturato, il modello può “inventare” numeri di fatturato, quote di mercato o partnership mai esistite. Basta una pubblicazione su un sito web e la danno inizia a circolare, minando la fiducia degli stakeholder.Chatbot di assistenza che crea politiche aziendali “fantasma”
In un e-commerce, il chatbot generativo può proporre regole di reso o rimborsi completamente inventate, ingannando clienti e causando reclami e costi aggiuntivi per l’azienda.
Senza un controllo attento dei dati e delle fonti, l’AI può generare false certezze, diffondere “fake news aziendali” e colpire la reputazione del brand o compromettere scelte cruciali. Ecco perché il fenomeno dell’hallucination non è solo un “curioso bug”, ma un vero pericolo quando le informazioni generate diventano “ufficiali” agli occhi dell’organizzazione e del pubblico.
Perché accade? Colpa (anche) del “data sprawl”
Gli LLM (Large Language Model) non hanno una “comprensione” semantica vera, ma si basano su correlazioni statistiche. Se un prompt richiede normative o dati, il modello può facilmente “dedurre” risposte illusoriamente valide ma prive di riscontro reale.
Nel contesto del data sprawl — cioè una proliferazione incontrollata di fonti (vecchi backup, archivi condivisi, repository obsoleti) — l’AI fatica a riconoscere ciò che è affidabile da ciò che è spazzatura. Questo moltiplica la probabilità di generare contenuti inesatti o completamente inventati.
Strategie per difendersi
Retrieval Augmented Generation (RAG)
L’AI attinge solo da una knowledge base interna validata. Se una fonte non esiste, non la inventa. Ciò implica un lavoro a monte che consiste nel creare e mantenere repository certificate.Data governance solida
Mappare i flussi, definire repository “ufficiali” e processi di aggiornamento. Così l’AI attinge a fonti sicure, riducendo l’inganno.Verifica e logging
In report critici o customer care, prevedere un controllo umano di approvazione (human-in-the-loop) o un modulo di validazione automatizzato che rilevi potenziali incongruenze.Evitare la generazione “libera” di citazioni
Nell’università o in azienda, si vieti la creazione di riferimenti normativi o statistici senza passare da fonti certificate. Qualunque output “AI-only” va controllato.Formazione interna
Spiegare il fenomeno hallucination e come l’AI possa “riempire i vuoti” con creatività. Mini-corsi sul prompt engineering e su ciò che si può (o non si può) chiedere all’AI.
Una data strategy solida contro le “bugie autorevoli”
Le hallucinations AI mostrano quanto i modelli generativi possano risultare credibili anche quando fabbricano informazioni. La miglior difesa è una data strategy robusta che prevede flussi chiari, repository ben gestite, e un monitoring costante. Così, l’AI non si ritrova a “inventare” contenuti per colmare vuoti di dati o aggirare l’anarchia di fonti disordinate.
Se all’università il danno si traduce in voti bassi e figuracce, in azienda si rischiano danni reputazionali e scelte strategiche clamorosamente sbagliate. Gestire e curare i dati, unito a un approccio prudente all’AI, è l’unico modo per evitare illusioni… potenzialmente disastrose.