Finito il tempo dei prompt perfetti?

Per oltre un anno si è parlato di prompt engineering come della nuova competenza chiave per lavorare con l’intelligenza artificiale. Corsi, guide e template hanno spiegato come ottenere risposte migliori da ChatGPT o Claude attraverso formule sempre più complesse. Ma forse questa stagione sta già finendo. Ethan Mollick, docente alla Wharton School e tra i massimi studiosi dell’uso dell’AI nel lavoro e nella formazione, ha scritto che “gli insegnanti e i formatori non hanno ancora aggiornato la loro visione del prompting. I modelli più avanzati capiscono l’intento, non la formula. Servono contesto e obiettivi chiari, non istruzioni rigide”. Questa riflessione non riguarda solo il mondo accademico ma anche quello aziendale, dove il modo di interagire con i modelli di AI sta cambiando rapidamente.

Dal formato al significato

Le prime versioni dei modelli linguistici richiedevano istruzioni dettagliate per funzionare bene. Era necessario specificare ruoli, stili, passaggi logici ma oggi non è più così rilevante. I modelli di ultima generazione da GPT-4o a Claude 3.5 Sonnet, fino a Gemini 1.5 integrano meccanismi di reasoning che consentono di interpretare obiettivi e vincoli anche quando non vengono esplicitati. Uno studio di DeepMind pubblicato nel 2024 (“Reasoning with Language Models”) mostra che i nuovi modelli sviluppano catene di ragionamento interne senza bisogno di istruzioni del tipo think step by step.
In altre parole, comprendono il senso prima della sintassi. Questo spostamento riduce l’utilità delle “formule di prompt” e mette al centro la chiarezza dell’intento. Un modello di AI non ha bisogno di essere comandato, ma di capire cosa vogliamo ottenere e in quale contesto deve operare.

L’importanza del contesto

Nel linguaggio naturale, il contesto è ciò che dà significato alle parole. Per un modello generativo, il contesto è l’insieme di informazioni, esempi e vincoli che definiscono il problema. Più è ricco e coerente, più la risposta sarà utile e affidabile. Uno studio di Microsoft Research, From Prompting to Orchestration (2025), mostra che le performance dei modelli aumentano quando lavorano in ambienti che integrano dati reali e obiettivi specifici dell’organizzazione. Il valore non sta nella creatività del prompt, ma nella qualità e nella coerenza del contesto informativo. Questo è il passaggio dalla prompt engineering alla context design, una disciplina che consiste nel costruire ecosistemi informativi coerenti, fondati su dati solidi e obiettivi espliciti. È un cambiamento di mentalità che sposta l’attenzione dalle parole ai sistemi.

Cosa cambia per chi forma e per chi decide

Per docenti, formatori e manager questo cambiamento ha conseguenze immediate. Invece di concentrarsi su come scrivere la richiesta perfetta, diventa prioritario definire con precisione il risultato atteso, le condizioni e le fonti di riferimento. La vera competenza non è scrivere prompt più lunghi, ma progettare interazioni più sensate. L’OECD Skills Outlook 2025 conferma che la produttività legata all’uso dell’AI non dipende dalle abilità tecniche di basso livello, ma dalla capacità di formulare obiettivi chiari, costruire contesto e interpretare i risultati. Il valore risiede nella capacità di muoversi con range, ossia ampiezza di competenze e adattabilità cognitiva. Chi sa fornire esempi coerenti, criteri di valutazione e vincoli realistici ottiene risposte più pertinenti e affidabili. Non serve “parlare come un modello”, serve pensare con visione d’insieme.

I dati contano più delle formule

Il contesto non è solo linguaggio ma soprattutto dati. Un modello che lavora su dataset aggiornati e coerenti con il dominio specifico produce risultati più consistenti di qualsiasi prompt elaborato. Uno studio interno di Anthropic, pubblicato nel Claude 3 Reasoning Report (2024), evidenzia che la precisione delle risposte cresce sensibilmente quando i modelli vengono alimentati da esempi reali e informazioni pertinenti. Non è quindi una questione di linguaggio, ma di qualità dei dati. La data strategy entra a pieno titolo nella produttività generativa e le aziende che sapranno curare la qualità dei propri dati e definire un contesto coerente trarranno benefici misurabili dall’AI, quelle che inseguiranno la moda dei “prompt perfetti” otterranno risultati effimeri.

Il nuovo ruolo del professionista dei dati

Se il prompting perde centralità, chi lavora con l’AI dovrà spostarsi a un livello più alto.
Servono figure in grado di costruire ecosistemi informativi in cui modelli, dati e obiettivi siano allineati. La sfida non è più trovare le parole giuste, ma definire la logica, le fonti e i criteri che guidano la decisione. In molte organizzazioni italiane l’AI viene ancora percepita come uno strumento da “addestrare”, quando invece va considerata come un collaboratore cognitivo da contestualizzare. Questo cambio di prospettiva non è semantico, ma strategico. Chi saprà governarlo, costruendo contesto e dati coerenti, trasformerà davvero il modo in cui si lavora e si apprende.

Conclusione

Le bacheche di LinkedIn sono ancora piene di “prompt perfetto per fare questo o quello”, ma l’AI non premia chi scrive istruzioni più lunghe e standardizzate. Premia chi sa definire obiettivi chiari e costruire contesto utile. Non serve chiedere alla macchina di “pensare passo per passo”, serve metterla nelle condizioni di capire dove vogliamo arrivare. Nel nuovo equilibrio tra persone e modelli, la vera competenza non è il prompting, ma la progettazione del contesto. E in questo contesto, la qualità dei dati e la chiarezza del pensiero tornano a essere ciò che fanno la differenza tra un uso superficiale dell’AI e un vantaggio reale per chi la sa governare.