Dati: valore reale o rischio nascosto?

Scopriamo insieme come nel 2025 non basta più raccogliere dati: servono scelte consapevoli, competenze specialistiche e processi a prova di compliance per trasformare le informazioni in vero valore.

Il primo quarter del 2025 è finito, e guardando al mercato dei dati è evidente come il mondo dei customer data stia attraversando un punto di svolta. Non si tratta più solo di raccogliere grandi volumi di informazioni, ma di saperle attivare, governare e proteggere in modo immediato, concreto e responsabile.

Abbiamo consultato lo studio indipendente Future of Customer Data 2025 di Tealium, basato su oltre 1.200 interviste globali, che traccia un quadro molto chiaro: chi gestisce bene i dati cresce più velocemente, raggiunge risultati di business migliori e costruisce una relazione più forte con i clienti.

Ma i dati da soli non bastano: senza i processi giusti e una guida esperta, anche i migliori strumenti rischiano di non portare valore.

Analizziamo insieme punto per punto le evidenze più interessanti che emergono dallo studio:

Dati in tempo reale: il nuovo standard minimo

Il 90% delle aziende intervistate considera la capacità di lavorare su dati in tempo reale cruciale per il successo complessivo dell'azienda. Eppure, la realtà operativa mostra che molte organizzazioni faticano a integrare efficacemente i dati in tempo reale nei loro processi decisionali quotidiani.​

Il classico divario tra aspirazioni e capacità operative rappresenta una delle principali sfide del 2025: agire sui dati nel momento in cui si generano – e non a posteriori – è quello che distingue chi crea esperienze rilevanti da chi offre interazioni scollegate e tardive.​

In questo contesto, il supporto di consulenti esperti è veramente fondamentale: processi come l’implementazione di pipeline di dati in tempo reale, l’integrazione di fonti eterogenee e la creazione e attivazione di eventi utente “nel momento in cui accadono le cose” richiede competenze sia architetturali che operative, solitamente difficili da trovare nei team interni alle aziende.​

Investire sui dati: è possibile avere un ritorno rapido?

In breve: si, è possibile, se si sa dove guardare (e come muoversi). Una delle evidenze più concrete del report è che il 45% delle aziende che adottano una Customer Data Platform (CDP) ottiene un ritorno sull'investimento entro soli 3–6 mesi. Quasi 9 su 10 lo raggiunge entro 18 mesi.​

Ora, questo da un lato dimostra che i progetti sui dati non devono necessariamente essere lenti, costosi e complessi, ma che, se ben orientati, portano valore misurabile in tempi brevi, soprattutto se focalizzati su casi d'uso chiari come la personalizzazione, la retention dei clienti o la compliance.​

Purtroppo però ottenere questi risultati richiede più della semplice implementazione tecnologica, perchè l'azienda deve seguire una roadmap ben definita, tracciata da project manager esperti in questo tipo di processi e capaci di guidare ogni fase, dall'integrazione iniziale alla piena “data activation”.​

Non possiamo non citare il ruolo del dipartimento IT: deve essere agile e reattivo, in grado di supportare tempestivamente le richieste di implementazione, integrazione o adeguamento dei sistemi. Senza un IT efficiente e collaborativo, anche i progetti più promettenti rischiano di rallentare, compromettendo il raggiungimento degli obiettivi prefissati, o peggio naufragare in un oceano di inefficienza operativa e frustrazione.​

Per riassumere, il ritorno rapido sugli investimenti nei dati è assolutamente possibile, ma richiede una governance solida, una pianificazione accurata e una collaborazione stretta tra project management esperto e un IT proattivo.​

CDP: l'infrastruttura per chi vuole crescere davvero

I dati parlano chiaro: l'81% degli utenti di CDP ha riportato un vantaggio competitivo significativo nelle iniziative di intelligenza artificiale, evidenziando come le CDP siano diventate strumenti fondamentali per l'innovazione nell'AI. Le CDP moderne non sono semplici database: sono architetture in grado di connettere dati frammentati, unificare profili cliente e orchestrare attivazioni su tutti i canali. Sono, in altre parole, la condizione di base per applicare strategie data-driven efficaci.​

Per progettare e implementare una CDP serve però una visione precisa: senza una roadmap di integrazione dei dati e senza una governance chiara, anche la miglior piattaforma rischia di trasformarsi in un ennesimo altro silo. Ancora una volta, il supporto di partner esterni esperti può fare la differenza, aiutando a definire priorità, strutturare la raccolta dei dati e pianificare integrazioni scalabili.​

Dati e AI: senza qualità, l'AI fallisce

L'84% degli utenti di CDP dichiara che la propria piattaforma facilita lo sviluppo di progetti di intelligenza artificiale. La crescita di modelli predittivi, sistemi di raccomandazione e analisi comportamentali rende l'integrazione tra dati e AI una priorità assoluta.​

Ma l'entusiasmo rischia di oscurare un dato di fatto fondamentale: l'AI è solo potente quanto i dati che la alimentano (l’ormai classico Garbage in / Garbage out). Senza processi rigorosi di pulizia, normalizzazione e governance dei dati, ogni progetto AI rischia di amplificare errori e bias, generando output inutilizzabili o, peggio, dannosi.​

Servono strategie chiare di data governance e consulenti capaci di progettare pipeline dati robuste, senza le quali l'AI rischia di rimanere una promessa mancata.​

Privacy: un rischio troppo spesso ignorato

Un dato del report fa molto riflettere: solamente il 32% degli intervistati considera la privacy una priorità critica nei progetti di intelligenza artificiale.

È importante notare che lo studio è stato condotto da Tealium, una società con sede in California, quindi all'interno di un contesto normativo molto diverso da quello europeo. Negli Stati Uniti, come probabilmente già sapete, la regolamentazione sulla protezione dei dati è più frammentata e meno stringente rispetto al vecchio continente, dove il GDPR impone requisiti rigorosi su trasparenza, gestione del consenso, minimizzazione dei dati e diritto alla cancellazione.

In Europa, essere compliant non è una scelta, è un obbligo, e le sanzioni per chi viola le norme possono arrivare fino al 4% del fatturato annuo globale. Per questo motivo, le aziende europee devono muoversi con ancora più attenzione rispetto ai colleghi americani: i progetti di gestione dei dati devono nascere già a prova di regolamento, integrando la protezione dei dati fin dalla fase di design (privacy by design) e garantendo piena tracciabilità su come i dati vengono raccolti, conservati e utilizzati.

Non basta adottare una buona tecnologia: è indispensabile strutturare processi di data operations robusti e affidarsi a consulenti esperti sia nella gestione tecnica dei dati sia nell'applicazione concreta del GDPR e delle normative emergenti. Solo così si possono costruire ecosistemi dati che siano efficienti, sicuri e resilienti anche di fronte ai futuri cambiamenti normativi.

In un mercato dove la fiducia del cliente è sempre più fragile, privacy e trasparenza diventano elementi di differenziazione competitiva, non solo obblighi da rispettare.

Il futuro dei dati: ci vuole metodo e visione

Tirando le somme, possiamo dire che nell’anno in corso molte aziende realizzeranno che raccogliere dati non basta più: bisogna saperli integrare, governare, attivare in tempo reale e proteggerli in modo intelligente e responsabile. I dati dello studio Future of Customer Data 2025 ci dimostrano chiaramente che chi riesce a farlo costruisce un vantaggio competitivo reale: migliori esperienze cliente, efficienza operativa superiore e maggiore resilienza rispetto a normative e cambiamenti tecnologici. Però, per riuscirci, non sono sufficienti strumenti costosi e buone intenzioni, occorrono processi strutturati, una visione strategica solida e consulenti esperti, in grado di guidare le aziende nel progettare, attivare e proteggere i loro dati in modo davvero sostenibile.