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Dati e futuro del lavoro. Quando i KPI misurano persone e non solo performance

L’utilizzo dei dati per monitorare le attività dei dipendenti è diventato sempre più comune, grazie a strumenti tecnologici avanzati che promettono di migliorare la produttività e ottimizzare i processi. Tuttavia, questa pratica apre questioni complesse sul piano legale ed etico, specialmente in un contesto normativo come quello italiano, in cui la protezione della privacy dei lavoratori e il rispetto della dignità personale sono aspetti centrali (ne abbiamo scritto a marzo 2024 nel nostro articolo Elevare la Conformità GDPR attraverso il CRM Data Cleaning). Da un lato, l’analisi dei KPI può fornire preziose informazioni per ottimizzare i flussi di lavoro e prevenire il burnout. Dall’altro, se mal gestita, rischia di trasformarsi in sorveglianza invasiva, con conseguenze legali e reputazionali per le aziende.

Il quadro normativo e i suoi limiti

In Italia, il monitoraggio dei dipendenti è disciplinato da leggi specifiche. L’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, rivisto dal Jobs Act, vieta il controllo a distanza salvo che sia strettamente legato all’uso di strumenti indispensabili per il lavoro. Questo significa che il monitoraggio non deve mai essere invasivo o sistematico, e richiede trasparenza assoluta da parte del datore di lavoro. A livello europeo, il GDPR introduce ulteriori obblighi, come il principio di minimizzazione dei dati. In ragione di questa norma le informazioni raccolte devono essere limitate alle finalità dichiarate e proporzionate all’obiettivo. Una violazione di questi principi non solo espone l’azienda a sanzioni pesanti, ma può anche causare danni alla reputazione. Un caso emblematico riguarda una società tecnologica europea, sanzionata per aver monitorato costantemente i dipendenti tramite software di tracciamento senza informativa adeguata. L’azienda è stata multata per oltre 2 milioni di euro, con ripercussioni anche sull’attrattività del marchio come datore di lavoro. In Italia, un caso simile ha visto un’azienda sanzionata per 120.000 euro dal Garante Privacy per l’uso di software di controllo attività che tracciava le operazioni sui computer aziendali senza rispettare i limiti dello Statuto dei Lavoratori. Entrambi i casi evidenziano come un monitoraggio non conforme possa tradursi non solo in sanzioni finanziarie, ma anche in danni reputazionali significativi.

Il confine tra monitoraggio e sorveglianza

Le tecnologie attuali offrono strumenti potenti per analizzare il lavoro dei dipendenti, ma l’utilizzo scorretto di questi strumenti può facilmente oltrepassare il confine della legalità. Ad esempio, piattaforme come Microsoft Viva o ActivTrak permettono di monitorare il tempo speso su specifiche attività, ma devono essere configurate per rispettare il GDPR e i principi di proporzionalità. In un esempio virtuoso, una multinazionale tecnologica ha utilizzato strumenti di analisi aggregata per identificare colli di bottiglia nei processi di collaborazione. Grazie a questi dati, è riuscita a ridistribuire carichi di lavoro in modo equo, migliorando la produttività e riducendo i livelli di stress. Tuttavia, in un altro caso, un’azienda del settore retail è stata sanzionata per aver monitorato le comunicazioni private dei dipendenti senza previa autorizzazione, violando sia le normative europee che i diritti fondamentali dei lavoratori.

Bilanciare monitoraggio e privacy

Il monitoraggio dei KPI dei dipendenti può essere un potente strumento di ottimizzazione, ma richiede un approccio che unisca trasparenza, rigore normativo e obiettivi organizzativi chiari. Comunicare in modo dettagliato quali dati vengono raccolti, con quali strumenti e per quali scopi, non è solo un obbligo legale, ma una leva per costruire fiducia e coinvolgimento. Questa trasparenza deve essere accompagnata da policy aziendali che stabiliscano limiti precisi, evitando pratiche di controllo invasive che potrebbero ledere la dignità dei lavoratori. Per rispettare i diritti fondamentali e mantenere un equilibrio tra efficienza e privacy, è fondamentale applicare il principio di proporzionalità. I KPI devono essere aggregati o anonimizzati quando non è necessario identificare i singoli lavoratori, e il monitoraggio deve sempre essere finalizzato al miglioramento organizzativo. Le aziende che affrontano questa sfida con responsabilità non solo riducono rischi legali e reputazionali, ma rafforzano la loro immagine come datori di lavoro etici e lungimiranti. In un mercato sempre più attento alla protezione dei dati, integrare il monitoraggio in modo rispettoso ed efficace rappresenta un elemento distintivo, dimostrando una cultura aziendale basata su professionalità e rispetto per le persone.