- datialdente
- Posts
- ⚙️ Data Act: i dati IoT non sono più un tesoro nascosto
⚙️ Data Act: i dati IoT non sono più un tesoro nascosto
Dal 12 settembre 2025 il Data Act dell’Unione Europea diventa pienamente operativo.
Un regolamento che, al di là della sigla, segna un punto di svolta: i dati generati dai dispositivi connessi (dalle auto elettriche agli smart speaker, fino ai macchinari industriali) non saranno più patrimonio esclusivo dei produttori. Gli utenti, privati o aziende, avranno il diritto di accedere, condividere e utilizzare quei dati in modo trasparente e portabile.
In pratica: se compro un dispositivo, non sto solo acquistando hardware e software, ma anche il diritto a non essere tagliato fuori dai dati che produce.
Cosa prevede davvero il Data Act per i dati IoT
Il Data Act interviene su quattro punti fondamentali:
Accesso ai dati: gli utenti devono poter ottenere i dati generati dai propri dispositivi, senza ostacoli tecnici o contrattuali.
Trasparenza nei contratti B2B: le clausole che regolano l’uso e la condivisione dei dati devono essere chiare, evitando lock-in e asimmetrie tra grandi e piccole aziende.
Portabilità cloud: i servizi devono permettere di spostare dati e applicazioni tra provider, riducendo la dipendenza da un singolo fornitore.
Obblighi per i produttori: chi progetta dispositivi deve tenere conto fin da subito della possibilità di accesso e utilizzo dei dati da parte degli utenti.
Cosa cambia per le aziende
Le implicazioni sono diverse e molto interessanti, a seconda del settore:
Manifattura e industria: i dati delle macchine non restano chiusi nel perimetro del produttore, ma diventano patrimonio utilizzabile anche da chi le opera o da terze parti. Questo apre la strada a nuovi modelli di manutenzione predittiva e a supply chain più trasparenti.
Automotive e mobilità: un costruttore non potrà più blindare i dati del veicolo. Officine, assicurazioni e fleet manager potranno accedere in maniera regolata a informazioni utili a offrire nuovi servizi.
Consumer tech: smartwatch, frigoriferi smart e altri device dovranno garantire che i dati raccolti possano essere trasferiti all’utente o ad app di terzi, in modo sicuro e standardizzato.
Privacy e compliance: due facce della stessa medaglia
Attenzione però: il Data Act non vive in un vuoto normativo. In Europa, il GDPR resta la cornice centrale.
Questo significa che le aziende devono trovare un equilibrio tra:
apertura dei dati (come previsto dal Data Act),
protezione dei dati personali (come imposto dal GDPR).
Il rischio è duplice: da una parte, bloccare processi di condivisione per paura di violazioni; dall’altra, aprire troppo e incorrere in sanzioni pesanti. La chiave è lavorare su processi di data governance chiari, che garantiscano sia compliance che efficienza.
Come prepararsi: processi e roadmap
Il Data Act non è solo un adempimento burocratico: è una spinta a ripensare i processi di gestione dei dati.
Le aziende dovranno:
mappare i flussi di dati generati dai propri dispositivi,
definire chi può accedervi e in quali condizioni,
implementare standard tecnici per la portabilità,
predisporre contratti B2B trasparenti e verificabili,
formare i team su privacy, interoperabilità e data sharing.
Qui il ruolo dei consulenti esperti di data operations e project manager dedicati diventa centrale: senza una roadmap chiara e senza un IT rapido nel rispondere, il rischio è di restare indietro.
Opportunità, non solo regole
Il Data Act non è solo un vincolo normativo: è un’occasione per trasformare i dati IoT da patrimonio nascosto a leva di business.
Chi saprà governare i processi, integrare compliance e innovazione e costruire modelli di condivisione sostenibili, avrà un vantaggio competitivo enorme.
Gli altri resteranno a guardare… mentre i loro stessi dati, letteralmente, lavorano per qualcun altro.