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BPO e analisi dei dati. Come il “processo esternalizzato” diventa intelligente
Il Business Process Outsourcing (BPO) è una strategia consolidata: affidare a fornitori esterni (specializzati) attività come contabilità, gestione clienti, payroll o persino funzioni HR. In passato, la scelta era motivata principalmente dal risparmio sui costi operativi. Oggi, però, stiamo entrando in una nuova fase, in cui la vera forza competitiva del BPO deriva dalla capacità di analisi dei dati. Se il partner di outsourcing sa sfruttare in modo strategico i data insight, può garantire un servizio a valore aggiunto, non più basato sulla semplice manodopera a basso costo.
BPO e data analytics. Cosa significa?
Immaginiamo una società che affida a un fornitore esterno la gestione del proprio customer service. Tradizionalmente, la performance era misurata in termini di SLA (tempi di risposta, tasso di risoluzione). Con l’approccio “data-driven”, il BPO non si limita a contare le chiamate evase, ma:
Raccoglie dati strutturati (motivi di chiamata, orari di picco, tipologia di cliente).
Li combina con informazioni provenienti dal CRM (storico acquisti, reclami pregressi).
Sfrutta analytics o persino algoritmi di machine learning per prevedere i picchi futuri e adeguare il personale.
Secondo un report di KPMG sul BPO evoluto, i fornitori più avanzati si propongono come veri “solution partner”, capaci di re-ingegnerizzare i processi del committente e fornire raccomandazioni basate su analisi continue dei dati.
Dati come leva di innovazione nel BPO
Mentre l’outsourcing tradizionale puntava soprattutto a ridurre il costo del lavoro, oggi l’uso dei dati permette di:
Personalizzare i processi: un fornitore di BPO che gestisce, ad esempio, una campagna di marketing o di teleselling, può segmentare il pubblico in base a dati demografici e comportamentali, ottimizzando tasso di conversione e soddisfazione.
Anticipare problemi: monitorando in tempo reale le performance, il fornitore può individuare criticità (calo di vendite, tempi di risposta eccessivi) e proporre soluzioni prima che l’azienda subisca gravi conseguenze.
Introdurre modelli predittivi: in alcune realtà, l’outsourcing va oltre i task amministrativi, fornendo previsioni di domanda, analisi di rischio o spunti di cross-selling basati su data science.
In pratica, si crea un circolo virtuoso: i dati alimentano le decisioni operative del partner BPO, che a sua volta raccoglie nuovi dati e li riconsegna all’azienda committente, migliorando l’intero ecosistema informativo.
Che cosa chiedere a un partner BPO data-driven
Se un’azienda intende esternalizzare un processo, dovrebbe valutare la maturità data-driven del potenziale partner. Alcune domande chiave:
Quali strumenti di reporting e analytics utilizzate? Alcuni BPO offrono dashboard in tempo reale, altri si limitano a fornire report mensili, più statici.
Che modalità di integrazione dati adottate? L’ideale è una piattaforma API-based o con connettori preconfigurati, così da sincronizzare il CRM o l’ERP aziendale con le soluzioni del fornitore.
Come gestite la qualità e la sicurezza dei dati? Sebbene il focus non sia sulla compliance in senso stretto, è fondamentale che il BPO applichi standard di data governance, proteggendo i dati sensibili e rispettando eventuali normative (es. se gestisce clienti in UE, si ricade nel GDPR).
Quali KPI e metriche di performance vengono monitorate? Dai classici SLA alle metriche di customer satisfaction, dalle analisi predittive allo scoring di vendite.
Solo un fornitore in grado di parlare “il linguaggio dei dati” può contribuire davvero alla crescita del business, anziché limitarsi a risparmiare qualche costo.
Gli errori più comuni nel BPO data-driven
Naturalmente, la transizione a un BPO data-driven non è priva di insidie. Alcuni errori frequenti:
Asimmetria informativa: se l’azienda non condivide abbastanza dati (per timori di privacy o mancanza di integrazione), il fornitore non riesce a far fruttare appieno il potenziale dell’analisi.
Manutenzione dei flussi: a volte si implementano soluzioni di integrazione una tantum, senza un monitoraggio continuo. Se cambia la struttura dei dati o si aggiornano i software, i flussi vanno in tilt.
Focalizzarsi solo su KPI operativi: per esempio guardare ai volumi gestiti o ai tempi di attesa, trascurando metriche di outcome (soddisfazione dei clienti, ricavi incrementali, riduzione dei tassi di abbandono).
Secondo un’indagine di Everest Group, oltre il 40% dei contratti di outsourcing registrati nel 2023 ha avuto difficoltà legate alla gestione e sincronizzazione dei dati, che hanno rallentato o ridotto i benefici attesi.
Conclusioni
Il BPO data-driven rappresenta un’evoluzione naturale della semplice esternalizzazione. Invece di concentrarsi unicamente sui costi, si mira a migliorare la qualità dei processi, a rendere più efficiente la supply chain e a fornire insight utili alla strategia aziendale. Nel panorama competitivo attuale, le aziende che sanno selezionare partner esterni capaci di gestire ed estrarre valore dai dati godono di un vantaggio significativo. Allo stesso tempo, la committente deve essere pronta a condividere informazioni e a collaborare in maniera trasparente, integrando sistemi e definendo KPI comuni. Solo così si crea un vero “data synergy effect” tra il business principale e il provider di outsourcing.