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1-man company con l’AI? Mito, numeri e realtà

Ogni giorno leggiamo storie di imprenditori solitari che grazie all’intelligenza artificiale automatizzano tutto: prodotto, marketing, customer care, incassi. È la nuova frontiera del lavoro indipendente, dicono. Una “macchina” che lavora al posto tuo mentre tu te la godi e stai in vacanza. La realtà, però, è molto meno patinata. Dietro la retorica della 1-man company alimentata dall’AI, i numeri dicono altro. E vale la pena guardarli con un pizzico di obiettività in più.

Non basta un prompt per fare impresa

Negli ultimi due anni, piattaforme come Indie Hackers, TinySeed, Product Hunt o Gumroad hanno reso visibile il fenomeno delle micro-SaaS, tool AI, newsletter generate (anche) da modelli linguistici. Funzionano? Sì, ma spesso restano confinati in una fascia di ricavi modesti. Su Gumroad, i creator che superano 1.000 dollari al mese sono una frazione. La coda lunga è piena di progetti venduti una tantum, senza clienti ricorrenti (Reflecting on 10 Years of Gumroad – di Sahil Lavingia). La verità è che molte “1-man company” sono side hustle. A volte portano extra reddito, ma non diventano aziende solide. Soprattutto non reggono quando servono garanzie minime su privacy, flussi di cassa, assistenza.

Il costo nascosto di fare tutto da soli

“Se hai l’AI non servono collaboratori.” Ma la verità è che se non paghi persone, paghi strumenti, competenze e tempo. E se non hai tempo o competenze, paghi ancora di più. Il solopreneur “puro” esiste solo se sei un tuttologo con giornate infinite. Nella realtà, chi prova a far girare tutto da solo scopre subito costi sommersi che nessun post motivazionale menziona.

Qualche voce concreta?

  • Stack tecnico: API GPT-4, hosting, database, versioning.

  • Consulenza e skill mancanti: chi scrive codice se non sei dev? Solo vibe-coding? Chi cura SEO se non sei marketer? SEO-AI? Se non lo fai tu, lo paghi a ore.

  • Automazioni: Zapier, Make, Airtable, Integromat. A piccoli volumi costano poco, ma crescono con l’uso.

  • Pagamenti: Stripe, Gumroad, PayPal trattengono percentuali.

  • Traffico: Google Ads, social ads, newsletter sponsorship. Se non paghi, dipendi dal traffico organico, ma per farlo servono contenuti di qualità e tempo.

  • Contabilità, privacy, contratti: un commercialista, un consulente GDPR, un legale.

  • Assistenza: ticketing, email, chat. Anche qui o lo fai tu, o paghi. Illusorio pensare che sia tutto AI powered dal giorno 1.

E poi ci sono i costi invisibili come scrivere mail di follow-up, aggiornare una landing page, gestire utenti insoddisfatti, rispondere a chi chiede rimborsi. Un tool AI “passivo” non sta fermo. Ha bisogno di debug, aggiornamenti di modelli, fix di API. Serve traffico costante, o muore. E senza traffico non arrivano utenti. Senza utenti non arrivano incassi. Molti creator ignorano anche il tasso di abbandono (churn), magari vendi bene al lancio, ma dopo due mesi metà degli abbonati cancella. E di nuovo serve tempo per sostituirli con nuovi utenti. Fare tutto da soli non è impossibile. È solo molto più costoso, in soldi o in ore di vita reale, di quanto non si possa immaginare leggendo i post su Linkedin.

È un business o solo un hobby mascherato?

Vale per chi lancia e per chi valuta se metterci tempo, contatti o soldi.
Non tutto ciò che si autodefinisce “azienda” lo è davvero.

Ecco 5 domande per chi lancia:

  • Il flusso di cassa è ricorrente o una tantum? Se smetti di postare o promuovere, quanto regge?

  • Il cliente paga per un output che usa subito o per un risultato misurabile?

  • Quanti processi devi gestire a mano nonostante l’AI? Contratti? Fatture? Refund?

  • Puoi sostituirti senza bloccare tutto? O se ti ammali si ferma l’unico motore?

  • Hai un costo di acquisizione clienti (CAC) inferiore al margine o stai “pagando” per fare fatturato?

E 5 domande per chi valuta:

  • Il rischio di founder dependency è coperto? Cosa succede se si stanca o cambia strada?

  • C’è una mappa chiara dei dati? Chi li gestisce, dove stanno, come sono protetti?

  • Il prodotto può scalare senza duplicare anche i problemi?

  • Ci sono barriere di ingresso vere o chiunque può clonarlo con un prompt?

  • Il break-even regge se i costi di traffico o API raddoppiano? Chi paga la variabilità?

Guardare oltre il titolo

Automatizzare processi con l’AI ha senso. Semplifica attività ripetitive, libera tempo, riduce costi. Ma non sostituisce la parte noiosa di un business: regole, struttura, governance. Chi promette libertà assoluta con un prompt, spesso vende un’illusione. L’automazione è uno strumento, non una miracolosa moltiplicazione o una bacchetta magica. E dietro ogni AI c’è sempre un’operazione che va seguita, misurata, protetta.